Ravnikar Bruno - Cinetografia e ballo popolare. Analisi e rappresentazione grafica della danza
(a cura di Noretta Nori), Roma, Gremese, 2012, pp. 352, 38 €.
A volte la recensione di un libro esula dallo specifico e diventa luogo di riflessioni sulla disciplina nella quali il lavoro dovrebbe collocarsi; questo si verifica in quanto dalla lettura si traggono spunti importanti derivanti dalle considerazioni critiche sull'opera.
Il libro in questione ha una sua piccola storia di costruzione interna. La versione iniziale doveva essere un sorta di manuale del sistema di trascrizione del movimento elaborato da Rudolf Laban, detto “Labanotation” nelle lingue anglosassoni e “Cinetografia” nelle neolatine. Il lavoro è stato finanziato dall'UFI (Unione Folklorica Italiana), seconda federazione per numero di gruppi folkloristici italiani, perché avrebbe la funzione di costituire una sorta di guida all'analisi e alla pratica della danza popolare italiana per i corsi di formazione degli aderenti a quella associazione.
L'autore, il prof. Bruno Ravnikar, docente di Acustica e Informatica musicale presso l'Accademia di Musica a Lubiana in Slovenia, è un accreditato studioso della “cinetografia Laban”, il più completo e complesso metodo di trascrizione grafica del movimento finora elaborato, inventato da Rudolf Laban ed integrato da Albrecht Knust; tale metodo viene applicato talvolta soprattutto in coreologia per descrivere su carta la danza.
Quando il testo è stato proposto all'editore Gremese di Roma, perché lo inserisse in una sua collana editoriale, la proposta originaria è stata ritenuta dalla responsabile editoriale Flavia Pappacena troppo scarno e da integrare. Così il lavoro è stato affidato alla cura di Noretta Nori, affinché irrobustisse, sul piano storico e teorico l'opera, con la pretesa di trasformarla in una sorta di manuale metodologico sull'analisi della danza popolare italiana. Ma per molti aspetti, dei quali si tratterà più avanti, il passo è risultato più lungo della gamba.
Il testo è articolato in tre parti:
1) una prima sezione, completamente opera della curatrice, riporta la storia nei secoli dei vari metodi di trascrizione della danza focalizzando, in particolare, la figura e l'operato di Laban. Chiude questa parte un capitolo nel quale si tenta di proporre una sorta di compendio di “grammatica” del ballo popolare;
2) nelle seconda sezione, scritta da Ravnikar, è descritto il metodo “cinetografico” secondo adattamenti applicati alle danze popolari dei paesi ex-jugoslavi;
3) infine, nell'ultima sezione, c'è un'esemplificazione a cura della Nori di tale metodo applicato a 47 balli di varie regioni italiane, sui quali vengono fatte bevi note storiche e morfologiche con qualche schematizzazione morfo-strutturale a cura di Peter Suhadolc.
Il nucleo dell'opera (pp. 75-155) è di fatto il saggio di Ravnikar nel quale il metodo Laban viene affrontato in modo essenziale e comunque esaustivo. Se il testo si fosse limitato a riproporre per il pubblico di etnocoreofili italiani una guida didattica per una miglior comprensione morfologica dei balli tradizionali, sarebbe risultato un lavoro utile e dignitoso. Al contrario il volume è deteriorato dalla pessima scelta delle fonti documentarie da sottoporre ad analisi e trascrizione. L'analisi morfologica più accurata e la teorizzazione coreo-antropologica più elaborata risultano inutili e persino nocivamente disinformative si basano su fenomeni coreutici inesatti o falsi.
Molte trascrizioni sono ricavate da descrizioni formali di tipo verbale. Per esempio, numerose sono tratte da articoli del sottoscritto apparsi sulla rivista “Choreola”; altre sono tratte da internet senza appurare l'affidabilità delle fonti. A tale riguardo si deve sottolineare che lo stesso Laban ha elaborato il suo complesso sistema di simbologia grafica per supplire alle deficienza della parola; infatti il rilevamento grafico del movimento completa i limiti delle descrizioni verbali. In questo caso si capovolge il procedimento: la vaghezza del linguaggio verbale diventa proiezione grafica precisa, codificata, assoluta.
C'è da rilevare, inoltre, che numerosi balli sono stati rilevati da esecuzioni di gruppi folkloristici che, come è da tempo noto, solitamente inventano o, nel migliore dei casi, rielaborano le coreografie dei modelli originari: essi semplificano, stilizzano o banalizzano posture, moduli e linguaggi corporei, che diventano di fatto nuovi. Pertanto, nel saggio della Nori risultano alterate le esecuzioni dei seguenti balli: marsigliesa, galop e manfrina di Premilcuore, saltarello di Imola, manfrina di Castel Bolognese e di Premilcuore, galop romagnolo e sor Cesare di Pietralunga perché eseguiti da gruppi folkloristici con finalità e stili spettacolari.
Del tutto falsi e inesistenti sono: il ballinsei e il saltarello di Castiglion del Lago, terra avulsa dalla pratica di queste danze; il siblot e la furlana del Friuli, il ballo de sa cruxi e de sa istella di Elmas, il ballo dell'argia di Macomer, la tarantella siciliana.
Da revisionare sono anche quei balli presi da ambienti di riproposta, dagli allievi esterni occasionali che si trasformano, in questa occasione, come “depositari” della tradizione. Da tali considerazioni, pertanto, si ricava che spesso le informazioni diventano di terza e di quarta mano, sbilanciando l'attendibilità dell'analisi proposta in quanto i materiali trattati sono copia della copia della copia degli originali, con i conseguenti processi riduttivi di semplificazione e di tipizzazione della didattica: sciottë e tre passi abruzzesi, gigo e sbrando piemontesi, pizzica pizzica pugliese.
La critica delle fonti sta diventando la questione centrale dell'etnocoreologia italiana di questi ultimi anni, a causa della diffusa ignoranza dei modelli originari e della consueta superficialità con cui si manipolano le danze di tradizione da parte degli ambienti folkloristici e di riproposta folk. Il patrimonio immateriale è ugualmente prezioso come quello materiale; tuttavia non si capisce perché si deve portare rispetto, conservazione e tutela per un monumento antico od un'opera d'arte e, invece, per quelle forme che sono (o erano) segno di identità di una cultura locale, gli incompetenti possano sentirsi autorizzati a modificarne la natura o spacciare per originali le pure reinvenzioni. A questo punto è doveroso porre il quesito su chi siano i depositari delle danze di tradizione locale e quali siano le forme riconducibili per una definizione al “modello etnocoreutico accreditato e identitificativo” di una pratica coreutica locale. Le ultime tendenze dell'Antropologia Culturale ci inducono a considerare tradizione una realtà in continuo divenire, un “folklore in progress”; ma se si deve definire una forma coreutica, tale da “fissarla” con finalità connotativa mediante notazione grafica stampata, si pone comunque il problema di definire i modelli accreditati con le loro varianti. Questi sono problemi teorici e metodologici non da poco che diventano “sostanza” dell'etnocoreologia e che pongono il complesso problema metodologico, in termini geetziani, dell'efficacia della rappresentazione, in generale, del movimento e della semiotica corporale nel ballo.
Sul web abbondano i documenti video di balli popolari, ma non esiste oggi alcun controllo sull'autenticità dei fenomeni ostentati in rete; di conseguenza, se non si ha termini di comparazione scientificamente testati o non si è depositari o buoni conoscitori della materia, chiunque potrebbe essere tratto in inganno nel prendere per “autentico” ciò che tale non è. Oggi più che mai un testo edito, con ambizioni di riferimento teorico e metodologico, tanto da essere presentato presso l'Accademia Nazionale di Danza, non può proporre tranelli e mistificazioni così gravi.
Altri errori e distorsioni sono presenti nella contestualizzazione storica, morfologica ed antropologica di alcune danze trattate dalla Nori. Si possono fare alcuni esempi: la marsigliesa, che è una semplice mazurka figurata ottocentesca, è associata allo scotis e ad alcune casuali analogie coreutiche europee, senza individuare un apposito gruppo di ballo da sala; si usano terminologie assolute come lo scotis siciliano (ma in quella regione esistono numerose varianti di scotis) e pizzica pizzica salentina senza localizzare il modello osservato; il tre passi proposto non è stato registrato a Civitella Casanova; il galop non è mai in 6/8, il punta e tacco, a Parrano non è mai stato visto eseguire perché già estinto da tempo, il punta e tacco di Pietralunga è basato sulla versione che ne dà il gruppo folk “La frullana” a cui il sottoscritto ha trasmesso i balli, osservati una quindicina di anni prima dagli anziani del paese e poi reinsegnate al gruppo, il quale per ragioni sceniche ha amalgamato più balli per arricchirne l'esecuzione; la manfrina di Castel Bolognese è in realtà una ricostruita manfrina di S. Sofia; i passi descritti dello scagnarillë, della veneziana, del ballinsei sono parziali o errati e non corrispondono alla realtà; si parla di un certo ballo della Val di Resia senza specificare di quale si tratti, tra le decine di balli che in quella valle sono ben individuati; vengono presi per tradizionali dei ritrovati coreografici da palco dei gruppi folk sardi e qui connotati con specifico nome (ballu de sa cruxi, de sa istella) o costruzioni rievocative storiche (ballo dell'argia), danze che non esistono nel patrimonio reale locale. Vengono, infine, citate alcune fonti sitografiche da cui sono state attinte le sequenze poi trascritte; si deve sottolineare che alcune di queste non esistono o sono state cancellate (vedi furlana di Cemea o Corfù, gigo, ecc.)
Il carattere di affidabilità degli esempi di trascrizione diventa persino risibile quando si prende, come testimonianza e modello di riferimento di una danza così complessa sul piano morfo-antropologico come il trescone, l'esecuzione di bambini di scuola elementare o per la tarantella vagamente “siciliana” dei ragazzi di un gruppo folk sudamericano (forse discendenti di 3° o 4° generazione?). Da qui le perplessità su alcune scelte espresse dalla stessa curatrice.
Si elencano qui le danze trascritte, fornendo dei segni diacritici per informare i lettori delle sviste e delle inesattezze presenti nel lavoro.
[Breve legenda critica:
&: morfologia della danza attinta da documentazione visiva etnografica
+: morfologia della danza attinta da descrizione verbale
*: morfologia della danza attinta da esecuzione folkloristica alterata o inattendibile
°: morfologia della danza attinta da esecutori di riproposta folk
#: morfologia della danza attinta da you tube o da soggetti inattendibili come fonte
§: morfologia della danza attinta da documento dalla tipologia non precisata
?: non abbiamo termini sufficienti per analisi comparativa]
Setepasi di ? *
Scotis di Modigliana +
Marsigliesa di ? *
Sciottë di Castel Frentano °
Scotis siciliano +
Vinchia di Romagna (dove?) +
Tre passi di Civitella Casanova (sic) °
Galop di ? * #
Lorì di Val di Castelgomberto +
Punta e tacco di Parrano (sic) + #
Punta e tacco di Pietralunga *
Sor Cesare di Pietralunga *
Mazurka scambiata di Castel Frentano +
Scagnarille di Orsogna +
Trescone di ? #
Veneziana di ? +
Manfrina di Castel Bolognese *
Manfrina* di Premilcuore *
Ballinsei di Rocca Tebalda +
Ballinsei di Castiglion del Lago (sic) * #
Saltarello di Castiglion del Lago (sic) * #
Saltarello di Imola *
Alessandrina di ? +
Giga a due di Cegni +
Gigo della Val Varaita °
Sbrando di ?, ° *
Siblot di Aviano * #
Ballo della Val di Resia ?
Furlana di ? §
Furlana di Corfù *
Vilota di Galesano ?
Furlana di Dignano ?
Bersagliera di Dignano ?
Denci di Rovigno ?
Cotta di Orsogna +
Spallata di Schiavi d'Abruzzo &
Pizzica pizzica di ? &°
Tarantella di Montemarano &
Tarantella siciliana di ? * #
Ballo sardo di Elmas *
Ballo de sa cruxi di Elmas *
Ballo de sa istella di Elmas *
Ballo dell'argia di Macomer * #
Ballo tondo di Orgosolo *
Nel costruire le notizie storiche ed etnografiche la curatrice, priva di conoscenze dirette di molte delle danze esposte e dei suoi contesti socio-culturali, cui si accenna raramente, si serve quasi esclusivamente di “farine miste” provenienti da sacchi altrui (ad eccezion fatta degli aspetti evolutivi della spallata schiavese). In questo modo applica il metodo furbesco di comporre una apparente trattazione autonoma prendendo a piene mani da testi già editi, segnalando - ma non sempre - solo vaghi riferimenti bibliografici, in modo da far intendere il suo un contributo personale ed originale. Alcune omissioni sono mirate e strumentali; così si trascurano persino trattazioni ben note sulla pizzica pugliese o ricerche riguardanti la Sicilia. Ad esempio, nel definire i concetti di “popolare”, “tradizionale” ed “etnico” (pp. 27-28) la curatrice si scorda di averli acquisiti frequentando le lezioni di Etnocoreologia della Scuola di Formazione per insegnanti di danza etnica della UISP Lega Danza; inoltre, non tiene presente che sulle nozioni di “popolare”, di “etnico” e di “tradizionale” esiste una vasta letteratura da tempo codificata; nello stesso modo dimentica di citare in apposita nota (pp. 33-58) gli articoli di Zacchi in “Choreola”sulla storia dei metodi di notazione della danza. Le stesse fonti bibliografiche sono molto parziali rispetto all'ampiezza della letteratura già edita (sono trascurate, ad esempio, gli articoli editi nella rivista “Choreola” su etimologia e storia di trescone e di giga scritti da Alberto Nocentini, peraltro membro della Consulta scientifica della stessa UFI. Nelle citazioni delle fonti la Nori sembra procedere per simpatie, omettendo di segnalare, in alcuni casi, le fonti da cui ha appreso elaborazioni ed informazioni. Così come trasforma in esperti da consultare alcuni allievi di corsi didattici, pur di evitare contatti con gli studiosi più accreditati; deriva così che la riconoscenza è virtù sempre più rara ed è il metro della dignità intellettuale. In ogni modo, la Nori dovrebbe aggiornarsi sulla bibliografia dell'etnocoreutica italiana, molto più ampia e variegata, da interpretare criticamente con cognizione di causa, cioè, con una buona conoscenza etnografica del ricco patrimonio etnocoreutico. La curatrice manifesta una media preparazione storiografica sul tema. Dovrebbe tenere presente che per trattare del panorama etnocoreutico italiano si ha bisogno soprattutto di una lunga esperienza etnografica a contatto diretto con il ballo attivo e con la riesecuzione mnemonica di danze inattive. Nella pubblicazione l'errore fondamentale è stato partire da considerazioni teoriche e tecniche e, quindi, procedere per deduzione; ne deriva che certi interventi risentono di studio a tavolino su una materia nella quale molto deve essere ancora scritto e che ha ancora bisogno del procedimento induttivo. Servirsi di analisi morfologica sperimentata su altri ambiti coreutici senza tararli adeguatamente al caso italiano, rischia di essere operazione prevalentemente formalista e antropologicamente decontestualizzata.
In conclusione viene spontaneo porre un corretto quesito alla committenza dell'opera: quanto sia utile agli appassionati del ballo popolare e ai gruppi folkloristici una pubblicazione scientificamente poco attendibile? Se l'obiettivo era proporre un manuale di notazione Laban, sarebbero bastate le prime due sezioni del volume ed una più ridotta esemplificazione di balli, col conforto però di sequenze video veramente testimoniali in un apposito DVD allegato, in modo da permettere un'applicazione comparativa del metodo.
Infine, è doveroso chiedersi, ponendo una questione di metodologia di analisi della danza, se già oltre il primo decennio del XXI sec., in piena era digitale ed informatica, nella quale il libro elettronico si va sempre più diffondendo con possibilità di unire allo scritto immagini e sequenze filmiche in istantanea, sia ancora il caso di insistere su una notazione grafica così complicata, mai affermatasi universalmente per la sua intrinseca parzialità nel riferire e interpretare la complessità della danza? Si è consapevoli, con tali considerazioni, di appartenere ad un'altra corrente di pensiero, alla scuola carpitelliana, che vede nella “cinematografia” (cioè “scrittura del movimento” inventata ben prima del metodo Laban) e nelle nuove tecniche digitali di fissazione realistica della danza una soluzione più completa ed efficace, e persino più vicina e più coerente ai metodi tradizionali di tramissione del ballo: osservazione ed imitazione visiva. Da qui ne deriva che, forse, sarebbe ora di finirla con l'ipocrisia della trascrizione grafica del testo etnografico, intesa come unica rappresentazione della realtà antropologica studiata. Oggi, per informarsi od apprendere la danza, tutti usano regolarmente documenti filmici, a cominciare dagli stessi autori del libro, che si sono rivolti persino a You Tube per informarsi, perché sarebbe stato impossibile anche per loro osservare un'esecuzione coreutica dal vivo e trascrivere in modo esauriente quanto osservato. Siamo nell'era dell'ebook, nel quale presto, accanto al testo di un libro digitale, basterà premere sull'immagine accanto per veder svolgersi una danza in apposite sequenze video, magari girate in funzione rituale.
In chiusa alcune osservazioni sulla copertina dell'opera graficamente abbastanza scarsa; rispetto ai contenuti, su cui si è tentato presentare soltanto alcuni dei numerosi aspetti negativi, il prezzo dell'opera appare eccessivo.
[Giuseppe Michele Gala]