La storia della tammorra
Rivissuta attraverso lo studio dei reperti archeologici e delle opere d'arte - presso quei paesi che si affacciano sul Mare Mediterraneo prende inizio da alcune statuette fenicie di figure femminili, raffiguranti forse sacerdotesse della dea Astarte recanti un disco riconducibile ad un tamburo a cornice, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Alcune pitture di origine greca mostrano donne nell'atto di suonare un tamburo simile all'attuale tammorra denominato tympanon. Questo strumento ha quasi sempre due pelli (vista la presenza di maniglie o di legature a forma di X e di V sul profilo della cassa) tese su un telaio circolare di legno o di bronzo tenuto verticalmente e percosso con la mano nuda.
Presso i romani, lo ritroviamo col nome di timpanum. In un mosaico di Pompei conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli tale tamburo è raffigurato in mano ad uno strumentista - forse un ambulante - che lo percuote tenendo la pelle rivolta verso il basso. Una tecnica di esecuzione, questa, utilizzata per suonare l'attuale tammorra in Italia Meridionale e che si osserva presso tutte le popolazioni del Mediterraneo e del vicino Medio Oriente che utilizzano tamburi di tale forma.
La musica del Medioevo eredita quasi tutti gli strumenti a percussione dell'Evo Antico e la tradizione popolare conserva il grosso tamburo detto poi tammorra per scandire il ritmo durante il ballo.
La musica colta rinascimentale non disdegna l'utilizzo di questo strumento, dal momento che esso viene raffigurato nelle mani di angeli musicanti o nelle tarsie dei cori delle chiese, in cui si evidenzia l'uso del tempo di sospendere dei sonagli al telaio o anche di applicare la bordoniera (una corda posta sulla pelle per dare allo strumento il suono rullante). In tale periodo, in Europa il tamburello lo ritroviamo indicato come: Timbrel o Tymbre in Inghilterra, Timbre in Francia, Temple in Provenza, Rotumbes in Germania, Cembalo in Italia.
Testo e foto di Giovanni Vicidomini.